Maggio 24, 1795. VEDENDOCI, per la partenza da casa delle due anime antipa tiche (dei 17), sollevati un poco, e così contenti, e anziosi di vedere il supplemento della nostra imperfetta Ottava (Sessione XX.) çi siamo convenuti di entrare in sessione. Ma prima domandiamo: i critici, cosa ne diranno? Di questa Ottava vuota, cosa ne diranno? Diranno che il poeta si rideva di me! Che egli stesso avverebbe potuto da sè medemo supplirre, coll' suo ingegno solo, ai luoghi vuoti di questa Ottava, che lui stesso non aveva che ad arte sospesi per servire d'inganno? Tutto si può dire in questo mondo, ma dare, questo no, non si può dare! Non lo credo: Credo piuttosto che il poeta si sarebbe fatta una gloria di valersi della circostanza per darci a conoscere la forza del suo ingegno, e per convalidare l'argomento che in questo proposito si era un' altra volta assunto, cioè, che in lui stava la virtù di scrivere così, mentrecchè per dare, bisogna avere da che dare: E che perciò, da lui venendo il parto, in lui ne stava innegabilmente la sorgente. Ma non è così. Un uomo avra nel suo orto una bellissima sorgente di acqua, e si dirà, Quest' orto è mio, e quest' acqua è mia, perchè la sorgente è nel mio orto! Ma non è così. Passa l'acqua è vero per il suo orto, ma viene da più lontano. Volendone rintracciare la sorgente, si sentirà allontanare dai limiti del suo orto, per andare verso un altro principio, che non si troverà, che nella sorgente universale delle acque, cioè, nel mare! E così dell' intelletto: Che venghono e spariscono le correnti alla sola volontà dell' universal supremo.. Onde al supplemento. SESSIONE XXII. CESARE E scrisse Cinto di gelsi venne un tenero zeffir: poi se n'andò. Dopo un semplice giro ritorna a me. Egli mi fa segno che dovrò partire: che semplicità! Mi accenna in guisa un antro delizioso; ma a causa d'un immenso vacuo ove non ne si scorge il fine non so come anderò di là. Egli è muto: tiene quattro ali: due li servono di braccia e le altre due li cangia a suo capriccio. Egli tiene al destro lato una corona di fiori: al cinto una ghirlanda di quelli stessi fiori che la tua di Cipro fece spargere nella tua camera nel tuo bel dì natìo. Oh me felice! quindici ora vengono teneri fanciulli di un lustro appena: Come son cari! alati anch'essi. Il primo zeffir mi fa intendere che devo salire in grembo alle ali di quelli, che mi guideranno rinchiuso, senza esser veduto, al luoco destinato: perchè poco distante vi sono tre dive che vogliono involarmi a così, per me, delizioso viaggio: una fra queste è la Discordia: e tutto questo mi fa comprendere in virtù delle sue ingegnose gesta. Fra quattro minuti mi éleveranno a volo. (Pausa.) Che innocenti scherzi! quasi in un sonno: quanto sarei felice se fossi da questo istante eterno: ma ancor non lice. Commincio scorgere l'orizonte: che delizie! benche ai lumi miei tutto sin ora confuso parve, e pur le scintille che ascendono mi fanno rapir l'armonia de' sensi. Miseri prenci; vane delizie mondane: lusinghieri capriccj! Quivi ruscelli, augellini, fronda con fronda fan' degli arboscelli l'ombrette amene; concatenati in seno i pargoletti fiori, divisi in più sentieri che vanno rifferir al centro delle terrestri, no; ma divine delizie! Ninfe, che dolci ninfe! che in compartiti cori fan l'aura echeggiar: non di confusi accenti ma d'una melodia che a me non basta scernerne il preggio. Sono in un vestibulo ove in una quasi immensa lontananza vedo la Tua in bianca veste: vedo vicino a lei la bella Euridice: vedo l'infelice Arianne: vedo Deidamia: l' innocentę Cleonice: vedo Claudia, Vergine Vestale: e un immensità di altre: fra queste l'amorosa Ero: ogn' un di queste, dalle espressioni, parmi che cantano: Orfèo è il preside: come è grazioso che coro! Il Zeffir mi fa cenno che devo, per sentir meglio, passare nel suo gabinetto, no; ma in una specie di belvedere: ivi che vedo? Oh felicità divina! più di cento mille che vanno e vengono teneri zeffir! chi raccoglie fiori, chi trastulla con innocenti follie. Ora mi pongono in una sedia di viole: che fragranti odori! Per un semplice finestrino, cinto di fronde di lauro, ivi appoggiato sentirò l'armoniosa musica. Misero me, perchè mortal io nacqui? › Da quello che sento quando cantano in duetto, cantano l'inno prezioso che fu fatto in memoria del tuo dì natìo: ma r a causa della soavità non posso ben discernere le parole. II Zeffiro mi fa comprendere che in breve si avvicineranno quattro altri zeffiri da quel celeste coro ove nel centro di essi vi sarà inscritto il perchè non ho potuto penetrare più avanti. Ormai lo vedo: che lettere chiare! che semplicetti bambini che le sospendono! Prima, la tua di Cipro mi fa sapere che sintanto che non lascierò queste lugubre spoglie, ella, non perchè non voglia, ma da certe dive più potente, le quali hanno un' influenza sopra il lugubre, la contrastono così preziose visite. In luoco del suo debol genio, spedì questi Zeffiri acciocchè mi cuoprissero con le ali per involarmi alle tre dive maligne: il Genio coperto non dipende da lei, onde perciò mi fece rapire in quel luoco. In quel prezioso scritto, per compiaccerti, pose l'Ottava che non scrisse allora per mortificarti. OTTAVA SULLA PRIMA VISITA DELLA TUA. Come ti apparvi in quei sentieri ignoti Ritorno a te* Se ne vanno. Non li vedo più. Tutto si oscura. Svegliami. *Nota. In questo luoco portava la mano fuor della carta, e scriveva sulla tavola. Volevo ricondurgli la mano al suo luoco. Egli rintuzzava, si piccò, e tralascio di scrivere. Poco dopo poi riprese il lapis e scrisse-Se ne vanno &c. È cosa veramente rimarchevole che ogni volta ch'è stata questione di Agnese, tante volte son comparse le maligne dive in scena per contrastarci il nostro intento. Questa volta poi sono dive che hanno influenza sopra il lugubre. Era giusto poi che Cesare fin adesso vestito piuttosto alla poetica, abbandonasse quelle sue spoglie lugubre, per prenderne delle più amene; onde questa determinazione presa, sperando di ottenere il supplemento della non compita ancora Ottava, proposi a Cesare di entrare in sessione, ed egli di buon umore condiscendendo. |