SESSIONE XXVI. CESARE astratto, scrisse Pronto è già il globo con sei circoli: di sotto vi è un tubo celeste, ivi devo entrare. La mia fida non è quà, ma devo in brevi istanti incontrarla, e là seguirò i suoi consiglj. Tutti quelli che presentemente mi circondano non li ho mai veduti; sono in venti cinque, tutti con una benda azzurra che li cuopre le pupille; una specie di nubbe li circonda, pero è molta serena e lucida. Io sono elevato alla distanza da lora cinquanta e sei passi. Ora per una curvilinea mi attragono nel loro centro. Tutto è tranquille. Di sotto di me scorgo appena l' orizonte: per quanto mi sembra pare acqua. Ora sono nel centro. Una mi pone una veste tessuta di varie fronde senza fiori; sono così fragranti che ora m' indormirò: appoggiato fra il tubo e i circoli che adornano il globo soavemente me ne vò. Che tenerezza, che silenzio, che concordia, che innocenti scherzi ! Un grand raggio si approssima: egli è in linea retta, in guisa però sferica. Uno di questi mi dice che in quel splendido vacuo devo seguire il mio viaggio, e nel centro di quello vedrò la mia fida diva. Oh Numi, con che celerità, come tutto si cangiò! Quelli non più: tutto è in questo momento armonico. Ora si accosta una picciolissima fanciulla: che bel sorriso, che pupille innocenti, come è rubiconda in volto; mi sembran le sue labbra due rubini: ella è sopra un cocchio tessuto di candidissimi giglj. Ora mi accoglie: mi dice che devo poggiare il mio viso in grembo a lei. Misere follie dell' alme mortali: fragili sospiri! A paragone di questo mio riposo tutto è un fumo che surnuotando sull' atmosfera si dilegua. Ora mi accenna l'angolo per dove devo scendere. Ora mi dice che mi apparve così per sottrarmi alle tre dive che hanno cercato ieri sera di conturbarci, perchè l' hanno veduta venire nella sua solita immagine. Comminciamo scorgere un gran monte: a piè di quello scenderemo nel tempio di Bellona. Che bella verdura, quanti ruscelli: più belli armenti l'occhio mio giammai non vidde. Ora siam giunti. Che ruine! Una serie di colonne sono ancora in piede: i miseri monumenti ! Undici tende d' Arabi veggio: poche abitazioni fabbricate sulle antiche ruine: quanti capitelli per terra! Ora passiamo nel luoco dove vi sono fra tanti altri due, uno piccolo e l' altro più grande, arboscelli. Dove dobbiamo entrare vi è presentemente dell' orzo battuto: cinque asini che mangiano. Due camelli, e una cavalla con un piccolo maschio. Per causa di ciò non mi farà entrare per quel antro; ma a' piedi di due colonne mezzo sepolte. Ora ci siamo! Pria di farmi vedere il vestibulo dell' oracolo di Bellona, lei vuol darmi una eșatta descrizione della causa che esiste così; cioè, Nel due cento e cinquanta cinque dopo la venuta di Cristo, Zenobia avendo battuta i Parthi, volle in riconoscenza edificare un tempio a Bellona, per eguagliare con questa magnificenza la grandezza degli eroi Romani. Essendo una regina bellicosa, dopo averlo terminato, con due mesi di sontuose feste e giochi al popolo, entrò in trionfo; e là appese le spoglie opimi dei vinti nemici. Indi, vi ci pose tutte le sue ricchezze. E fra le altre cose, cinque piccioli idoli pennati, suoi custodi, in oro; e li pose al lato destro del tripode e una parte del museo de' Ptolomei, suoi antenati, ove si trova incisa, in varie pietre preziose di gran valore, tutta quasi, la dinestia de' Ptolomei. Ella le ereditò, non per via dell' Egitto, che allora era in balia de' Romani, ma dalla reggia famiglia dei Seleuci, sovrani della Siria. Vorrebbe dirmi dove furono posti, ma sente un certo rumore che, turbata in viso, mi dice che teme che le dive, che ci perseguitano ci abbino scuoperti; e mi dice che domani a sera si terminerà tutta la descrizione, facendomi penetrare più avanti per bene scorgere tutto. Mezza sospettosa, ora m' invola di là. Non vedo più niente. Che cambiamento! eppure sono ancora con lei. Ella mi trasporta, ma dove, non sò. Ora commincio scorgere degli alberi, ma tutto differente di quelli del monte. Ora entriamo. Numi, che vedo? La galleria! con una melodia quasi- celeste, lucidissima. Ora mi accenna il luoco delle fiamme. Mi dice che lei se ne và ; e mi lascia in compagnia del Genio coperto. Che in cinque m.nuti verrà (Pausa.) Commincio vederlo. Con che placidezza se n' viene. Che fiamme lucenti che nella destra mano porta. spiegherà trè versi e ne correggerà un altro. Egli mi dice che in luogo di dire devi dire L' Aura confonde in questa reggie mura Di meste voci in queste reggie mura. TRADUZIONE. Per serbarmi a così barbara sorte Non daste a me pria di lui la morte? Ora mi Egli mi fa cenno che se n' và; pria che mi abbandona, scioglimi dal mio letargo. t SESSIONE XXVII. CESARE astratto, scrisse Egli è solo, cinto di un raggio immenso. A misura che si accosta mi rapisce i sensi. Non lo viddi mai nel volto. Ora lo scorgo bene; che semplice sguardo! Sorridono con lui sull' purpurino labbro le Grazie. Egli ha tessuto sull' biondo crine una corona di giacinto. Ora mi dirà il suo nome. “Io sono il Genio custode di quella che vedesti una sera nell' circo dell' anime elette in bianca veste. Per ordine di quella di Cipro scesi per rapirti nell' gabinetto dei zeffiri, per farti sentire l' inno prezioso del dì natìo di Baldwin. Cinto di un bianco velo ivi devi sedere, ed ambi coperti se ne andremo.” Ora mi cuopre. Che calore sensibile, che placidezza! Commincio sentire certi che si approssimano suonando. Che armonioso duetto! cinque voci l'accompagnano. A quello che sento, è l' inno prezioso del tuo dì natìo. O giusti Numi, che melodia è questa! dalli compartiti accenti sento che non è quell' Ottava che tu credesti per l' inno. Altra dolcezza è questa. Che stile! simìl giammai il biondo di Delo non scrisse. Al suono ed al canto di questo coro a me sconosciuto scendiremo. Commincio scorgere la superficie degli allori. Ora ci siamo. Che odorose fronde! Cento e quindicis emplicetti zeffiri ci accolgano in seno. Che aurette amene respirano, a noi, semplicetti intorno! Ora il Genio m' insegna quella scrittura che |