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lessi già una volta, e poi se ne andrà. Ora si scuopre; che splendore!

Infiniti caratteri, ma non li posso ancora leggere. Quel immenso spazio che viddi una volta, sino che non cambj spoglie, per me entrare fra delizie simili, il Genio me 'l vieta. Egli se n' và. Mi avverte di dirti che appena avrò le altre spoglie, avrai la consolazione di sapere l'inno dettato da lei, accompagnato d' un immenso coro.

Ora mi fa leggere il principio di due Ottave e il fine: e poi se ne va, lasciandomi in balia delli vezzosi zeffiri.

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Ora mi cuoprono di fiori e poi se ne vanno. Ed io fra l'ombrette degli abeti abbandonato e solo a vagheggiar m' involo le deliziose scene: e pria che ogni carattere che per ora scrivere non lice, restino cuoperti dalle ali di questi a me sì cari zeffiri, svegliami.

CESARE

SESSIONE XXVIII.

ESARE astratto, scrisse

Sopra due conchiglie adamantine Iride bella, con quello del tubo sorridendo verso di me se n' viene. Ora si cuopre. Il Genio mi fa cenno che devo con animo sereno entrar nel tubo: Iride sarà la conduttrice. Che languidi sguardi: che mansueto ardire! Ora mi cinge di gelzi e poi entrerò.

Che eburnea mano! egli colla destra mi pone una rosa zebedina in bocca, e con quella m'indormirò sino al luoco desiato. Che paradiso in quest' istante a mio piacer respiro! volesse l'eterno Nume che ivi per sempre a goder restassi! Commincia ad elevarsi dal suolo, e pria che giunti noi siamo, in un estasi restar deggio, respirando di questi benigni gelzi l'aure tranquilli.

Da un raggio insolito commincio destarmi. Ora siam' giunti. Che deliziose scene: quante veggio meraviglie celesti egli m' impone di seguirlo più avanti. Iride ci guida. Commincio vederla nel volto. Che mattutina stella! Tre lustri appena nel suo bel viso l' età mi detta. Felice me, che cose! I zeffiretti sono tutti in compartite schiere alati di azzurro. Eglino mi seguono. Dopo di quattro minuti si aprirà l'antro dell' anime virtuose.

(Pausa.)

Che scolture; infinite colonne di varie gemme adorne! Ora giungerò nel vestibulo. Che armoniosi accenti! Mi

divide ancora una candida cortina, e poi vedrò l'elisèo coro e colà la tua sospirata un dì.

Commincia ad elevarsi. Che bellezza è mai: che innocente coro! Sedici schiere lo dividono. Nel centro vedo la tua: che vezzosi lumi: che ciglio pietoso! Ella è assisa sopra certe ali purpuree. Vicino a lei le prime dive sono Clio, Melpomene, Euterpe, Erato, e poi le tre Grazie che le sospendono l'eburneo lembo: quattordici amorini l'incoronano il crine.

Sotto di lei veggio tre altre Grazie col nome scolpito sul centro del cuore. Una è Talia, l' altra è Euffrosine, e l' altra essendo voltata per fianco ora non veggio più il suo nome. Poco distante vi è l' Aurora: Che giocondo aspetto! al lato destro di lei vi sono dodici ninfe, ma tutte con un velo sul viso: queste si chiamano le dodici Ore che accompagnano

l'Aurora.

Vicino a queste veggio Diana: che timido aspetto! Trenta sei Amarilli cinte di fiori li fanno un nobile e delizioso stuolo: ella è in bianca veste tessuta di ambrosia. In faccia a lei vedo Flora: poco distante Pomona con cinque figure ridicole intorno che suonano un instrumento con undici canni: il lor aspetto è mezzo di caprone, e l'altra meta superiore l'immagini vera di tanti buffoni. Quello del tubo mi dice che sono i custodi dei giardini: brutti di aspetto, ma virtuosi.

In faccia a loro passeggiano i zeffiri spargendo un' infinità di rose Misera ambizione mondana: poveri ingegni umani! ivi l'ordine del disegno, quivi l'architettura; quinci le più

innocenti immagini: quello che l' uomo orgoglioso per tanti secoli si affatica di imitare appena dalla natura, tutto qui a mio piacer veggio dalla superna mano eretto. Ora commincia il coro. Egli è posto in semicircolo. Orfèo è il primo. Anfione il secondo. Apollo, vestito da pastorello nel centro di questi. E poi quante ninfe li circondano.

Ora comminciano l'inno: ma perchè cantano in coro non discerno bene i versi. Commincia il duetto. La tua fa il secondo. Con che bell' anima esprime! Ora li sento.

OTTAVA.

[messa in musica come un inno fatto il giorno tuo natìo, e cantata nella tua cella nell' far l' aurora: la quale, per causa della Gelosia e dell' Invidia, restò sin or' sospesa. La tua in bianca veste cantando mi la detta.]

Fra i dolci rai de' mattutini albori
Coll' Aurora intorno dal circo mio
Ove non spiran che fragranti odori
Un lieto zeffir sorridendo uscio
Che soave rapì e coronò di fiori
L'età preziosa del tuo di natio
Ove godrai a sua mercede impressi

Terreni non più ma celesti amplessi

Quello del tubo mi fa cenno che lui è stanco, ma che per compiacer la Tua, egli si fermerà ancora un istante. Con voce molto flebile il Coro tacendo và, e Agnese un poco turbata per avvertirti a saperti regolare, non per disgustarti, ti detterà questi altri versi; ma per farti sentire come e a qual punto fosti ridotto e tutte le sue fatiche andate quasi in vano, coll' averci ridotti da così lontano come eravammo l'uno

dall'altro a convivere insieme, e nel tempo stesso le sue visite così ritardate. Ti avverte che la Fortuna ti proporrà un mezzo per disarmar l'Invidia e la Gelosia: ove devi, appena lo suggerirà, secondare li suoi detti; e così le visite non saranno più interrotte.

OTTAVA

DELLA TUA PER AVVERTIMENTO.

Cesare stanco e dagli insulti acceso
Non potendo più supportar la Diva
Col suo bel Genio che sin ora illeso
tè l'amicizia univa

Sereno per
Essendo oppresso e dall' Invidia offeso
Partir volea da questa Egizia riva
Es'egli andava a cangiar paëse

Mai più vedevi la tua bella Agnese

Sodisfatta delle mie cambiate spoglie; turbata in volto mi dice che due maligne dive hanno imprigionato il suo pargoletto Genio che ieri sera mi guidò; e di questo siamo noi la causa: perchè non si doveva più, secondo il suo avvertimento, far Sessione sino che non avessi cambiato vesti. Commincia la cortina a scendere. Il Genio del tubo è stanco. Iride parti. Resto all' oscuro. Svegliami

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