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SESSIONE XXIX.

CESARE astratto, scrisse

Scintillando in volto, sull'aureo cocchio la ruotante diva sorridendo verso di me se ne viene. Quattro le stanno al lato di diverso aspetto. Ella è tranquille. Chiome non ha. Il seno è coperto di un cinto di rubini. Sotto il piede tiene una macchina a guisa di cilindro. In ogni mano tiene un simbolo (che non scorgo bene) scintillante in guisa che abbagliano i lumi miei. Un velo li forma un grembo che ad ogni lato traspare in guisa che minia varie semplicette scene. Molte immagini si scorgono di là, ma che a me indagar non lice. Ora si avvicina. Che maestà! simil giammai non viddi. Ella è seria..

Eccola, non mi dice nulla! uno per sè si avanza: e per mezzo di una canna ovale ora mi attrae a sè. Che mesto sembiante! Egli è canuto, cinto di una pelle irsuta, con un vacuo nel suo petto. Commincio approssimarmi. Egli mi segue. Se fugisse sarei più contento. Ora si approssimano li altri trè. Che varie figure, misero me! Uno sorride, che nobile ardire l'altro è severo, ma compiacente: Il terzo, varia l'aspetto ad ogni cenno della diva.

Un semplice Genio vivace verso di me lieto se ne vien. Io sono nel centro. Nissuno mi parla. Non so dove sono. Ovvunque m'aggiro altro non vedo che raggj che favillano in un gran spazio immenso. Questo Genio coperto lo viddi

altre volte. Egli è quello della galleria delle fiamme. Non venne più da noi perchè temè d' incontrar l' istessa sorte che prova l' infelice Genio della Tua di Cipro. Egli mi dice che la diva è la mia fida Fortuna; che per non essere il bersaglio delle infauste dive, venne questa sera accompagnata dal Timore e dalla Speranza: dal Freno e dalla Virtù! che sono quelle quattro figure che la circondano. Quello che mi ha tratto a sè colla canna ovale e l'immutabil Freno.

Ora mi propone per disarmar l'Invidia, e finge che parli il Genio imprigionato della Tua.

VERSI ANACREONTICI.

Per sacciar l'insidie

Dell' Invidia fella

Devi donare a Yella

Il desiato anel

Allor tranquillo e placido
Rivvedrai nel seno

Il prigionier sereno

A scherzar con le

Colle Grazie gemini
Fra i suoi bei rai
In avvenir sarai
Più prediletto a sè

Numi, che viso angelico
Per il donato anello
Fra un singolar drapello

Verso di te se n' vien

Baldvino cantano
Tu la cagione sei
Che i crudi lacci miei
Sciolli per sempre son

Viva la tua bell' anima ·

Canta l'amato coro

Che di piacer io moro

Se li sento più

Mille d'intorno scherzano

Con paroline accorte

Facendo a lui la corte

Lode ne fanno a te

Ai lumi miei involasi
Il suo bel coro tace

E pelegrina pace

Ai nostri di lasciò

Quello coperto ora si allontana da quella compagnia delli quattro. La diva è più serena. Egli per compiacerti vorrebbe condurmi nella galleria, ma qualche cosa lo ritiene. Ora me lo dice. Vedi la mia destra? Ella fu sempre adorna d'una face ardente e lucida, ma Minerva me ne privò. Senza di quella entreremo nella galleria, ma saremo all'oscuro essendo io stato due volte maltrattato dalle crude Dèè. Minerva fiera di sè stessa, non potendo soffrire insulti, perchè la sua virtù cosa tale non merta; mi privò di questa face. Ma ora che sono queste maligne disarmate in parte, ne sar in pochi giorni reintegrato, e con quello vedremo il maestoso

capitolo. Però uno di quelli quattro che vedesti, che è la Virtù, uno de' più fidi custodi di Minerva, mi spiegherà il numero de' presidenti che compongono il capitolo. Mi dice che sono undici.

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Egli se ne va coperto come mi apparve, e tranquillo ritorna per l'istesso sentiero del liberato Genio della Tua. Da quello che vedo egli andrà a rallegrarsi con lui, ed io a rallegrarmi con te. Svegliami

CESARE,

SESSIONE XXX.

ESARE, astratto, scrisse

Una luce chiarissima scintillar commincia: che attrazione! ella si approssima, che vastità! sempre più chiara. Sono confuso. Che moto d'una massa enorme! Ora mi concentra a sè. Che bellezza! A misura che mi attrae lo splendor

cessa.

Numi, che veggio? tutta verdura: che fiori: abitanti simili giammai non viddi. Che virtuosi accenti! Nessun' non mi cura. Solo, perplesso, ma dispiacer non provo. Che mi sostiene non so: ali non ho: che arcano! All' orizonte scender non posso. Che armonia! tutto è semplice.

Ora da me non longi un numeroso stuolo in un monticel si aduna: che generoso ardire in quelle giovinile schiere la soavità mi detta! Ora son giunte, ed io mi approssimo: ora le scorgo meglio: una nubbe lucidissima di sì belle immagini le delizie mi priva. Sono un' altra volta nel scintillante raggio; che maestà!

Ove me n' vo no'l sò: sono già nel settemplice, dall' rosso, all'azzurro, nell' purpureo. Ora sull' arco Iride mattutina sorridente ivi veggio. Ella si eleva: nulla mi dice. Misero me, che bersaglio è questo! Anch' io mi elevo: che piacere!

Raggj non più! commincio vedere un'immensità di numeri. Che giffre! Fermo sono, che vacuo! Una candida sfera ora mi cinge, che riposo! Tutto è tranquillo. Al mio lato vedo

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