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un altro composto d' infiniti genj di Minerva. Ora partiamo: che soave riposo! solo quello che m' inquieta è il fuoco che mi arde in seno.

Commincio vedere dalla trasparenza del velo una gran' luce: ora la tua mi scuopre: Numi eterni, che beatitudine! Un drapello d'amorini si avanza cantando: un altro simile a quello, composto di genj di Minerva, anch' essi cantano: ma non li sento ancora bene: che melodia! ora son giunti ed il coro tace.

Un Genio custode commincia aprire una porta come un arco trionfale; entrati siamo. Che spaziosa lontananza! si apre al suono di armoniosi istrumenti il circo di Ariatea, cioè la Virtù. Numi, che beltà! essa mi riceve.

Ora poco longi, commincio vedere Amore unito alla Costanza, e vicino la graziosa Imene. Nove seggie sospese dal suolo formano il centro: esse son cinte e tessute di gemme scintillanti: un semplice raggio fatto a guisa d'una benda rifferisce al tetto, che di minutissime stelle scintillanti ornato, attraendole a sè le seggie sospendono. Fra queste vi sono delle tessute ghirlande con un cesto che pende colmo di fiori. Entro un infinità di zeffiri che siedono sopra il suolo e un misto di fragrantissimi fiori. Nel centro vi è un seggio reale ove in pochi minuti Giove Capitolino, come giudice della mia causa pronuncierà. Per un raggio retto, non: ma sferico-il celeste consiglio si avanza: che ordine!

Poco longi, cinta di venti sei capriccj, Clori brunetta li segue: commincian sedere le dive: fra queste vi è un Genio

che non viddi mai; egli è alla destra di Giove : indi la Virtù : vicino la Felicità e la Giustizia. Dall' altro i divini Augurj, Imene ed Amore, e la Costanza.

Nell' centro di esse, sopra un globo con diversi circoli, sederà la tua: il mio destino, il tuo dell' aquilo, e il mio Genio. Ora sediamo: io sono immobile, ardendo all'eccesso. Ora commincia il coro de' genj.

CORO DE' GENJ.

Giove, gran Nume
Che soave risplendi
Proteggi, diffendi
La bella Virlù!

Deh non turbate
Voi schiere de' Numi

La pace, i costumi

De' lieli suoi dì!

CORO DI AMORINI.

Sereno lasciate

Quel genio d' Amore

Che Nice nel cuore

Sin' ora feri

Deh non crescete

Gli affanni, le pene.
La face d'Imene
Lasciate goder.

Che voci angeliche! ora tacciano e la Virtù commincierà, parlando con Amore, prender le mie diffese, e l'altro le sue. ARIATEA, o sia la Virtù.

Audace fanciul, troppo m'insulti! Perchè involar ai tuoi dardi un mortal che adòro?

AMORE, o sia Cupido.

Ariatea, male intendi delle mie faci la ragione del Destin: ignorare non puoi che Cesare nacque coll' suo destin pronunciato: egli essendo compito, vedendo la tua ostinata austerità, con un dardo il suo cuor ferì. [Volgendosi ora verso il Destino.] Favelli di Cesare, Destin, per me.

IL DESTINO.

CUPIDO.

ARIATEA.

GIOVE.

A faccia a tanti Numi tacer non posso l'ignoto arcano che da Cesare sin' or celato fu: Quando nacque fu predetto che non averebbe mai avuto una dolce felicità, nè si sarebbe mai congiunto al sacro talamo sino tanto che girando varie regioni trovato avesse una figlia nubile che li recidesse il crine: dopo sei lustri, per il voler del Fato, l'oracolo si compì, e lui resterà nell' letargo sintanto che Giove decida.

Ariatea, e bene; che dici?

Bene t' intendo, ma forse di meno far si potrebbe, si prenda consiglio da questo augusto coro.

E bene, mie deliziose Dive! senza parzialita parlate. LA FELICITA.

lo il destin approvo.

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GIOVE.

E noi fidi interpreti: la Fortuna, che non la conobbe fin or, anch'essa si compiace.

E Clori brunetta, che risponde?

[Clori li suoi capriccj in questo sacro circo non li tiene: li lasciò fuori, pria di entrare.]

CLORI.

In grembo a voi, benchè mortal io sia, tacer il mio sentimento non posso: se di un così propizio destin pria saputa l'avessi; più cauto il mio cuore verso di Cesare l'avrei disposto, e quel amor di stima cangiato l'avrei con un delizioso dardo: l'avrei, mercè una conjugal catena teneramente amato: nello stato in cui l'alma mia si trova, io non mi oppongo, e non riffiuto: perplessa, mi rimetto al consiglio di voi, ed al decreto di Giove.

ARIATEA. (a Cupido.)

CUPIDO.

Dunque che pretendi: intendesti la ragion di Clori?

Sì, l'intesi: ma di lei arbitro son' io.

ARIATEA.

CUPIDO.

ARIATEA.

CUPIDO.

ARIATEA.

CUPIDO.

ARIATEA.

CUPIDO.

Non incatenasti Clori con un altro Genio: non lo feristi?

Sì, lo colpì, ma con un dardo che per la Gelosia e il Sospetto in pochi istanti cangiò in un semplice amor patriotico e di fanciullesca rimembranza.

Comunque sia, se Giove permette, io m' oppongo.

Deh, che hai tanto ardir di contrastar l'oracolo del Destin e che la tua austerità priva Cesare del licor di Bacco, dal sonno, dai più semplici piaceri; abbandonato a sè coll' ubbidirti, crede superare sè stesso, vincere la passione; perchè, giacchè sei colla tua pretesa virtù, salvata non hai Didone?

In cangio Enea salvai dalli tuoi deliri.

Ma Achille, Paride, perchè sono periti? la cagion tu fosti: che bella virtù! Alessandro, quando vaneggiò mercè li miei dardi, perchè non lo salvasti colla tua severa continenza!

Se con Roxana egli delirò, prudente lo feci quando di Dario le prigioniere figlie in sua balia le desti, padron lo feci!

Apollo che delirò per Dafne, Ercole con la bella Iòle, Marte e Ciprigna, perchè li lasciasti in balia de' miei sospiri ?

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