decidersi non sà a l'esecuzione di quel che il voler de' Numi lui prescrive. Mercurio con l' ingegno di un suo prediletto Genio a se lo trasse. L'aquila è da me, ma il Genio è in sua balia: miseri consiglj! Quel velo che mi cuopri sin ora, era così trasparente che quasi tutti li oggetti io viddi fuor che la tua. Sento che a misura che il coro si allontana, lo splendore cresce: Che dolcezza! Quasi in un sonno. Or' mi scuopre intieramente. In un cocchio anch' io in questo istante sono. La tua appena la veggio. Essa con un' aria serena, mista di sdegno, per mezzo di un Genio, certe lettere incise in un cestello di rubino, a me ne dona. Oh ciel, che leggo? Un' Ottava diretta a te. Se farai un poco di musica, la copierò. Un Genio solo in Sopra di lei vi è scritto grembo la tiene. Guardati mio fido Di Mercurio infido. OTTAVA CELESTE Mentre sull' lembo della bionda aurora El'aurea chioma che l'oriente indora Da nubbe in nubbe il messaggier de' Numi Se attenzion non fai al mio consiglio fido La tua di C. in b. v. La cortina scende. Quasi soletto in questa reggia di delizie abbandonato resto: pria che lo splendor cessa, svegliami. SESSIONE XL. CHE valetta amena: un fiumicello le due sponde dal monticello divide. Che verdura! quante capanne: che fioriti prati! Solo son' io: un mormorio commincio sentir, l'eco mi rende i dolci accenti, ma un poco confusi. Da un lato di varj olmi adorno, un semplice fanciul si avanza: egli è timido assai! tiene in mano quaranta numeri coronati di lauro, con un ramo d' olivo nell' altra. Egli mi porge delle frutta: mi fa cenno che in un vicin boschetto seguirlo deggio. Egli a misura che si avanza, cangia sembianze. Quasi un globo diviene: che arcano! nel centro mi attrae. Ora s' inalza: con che leggierezza! In aria siamo: che belle colline ombrose! nel centro di quelle vedo quel anfiteatro che scuopersi una volta in fondo di quella via della vasca : quanto è maestoso! quasi notte è ancora: non posso scernerne la sua belta. Ora scendiamo in un delizioso luoco diviso da una semplice colinetta: duc boschetti la compartono: al pie di essa, una irregolar pianura con una infinità d'alberi fruttiferi : tutta sorta di uccelli: più ruscellini quei fioriti prati bagnano. Alle falde della collinetta all'ombra di un olmo, veggio due ambi vestiti da pastori. Uno, cioè il più giovine, nel onde di un rio che placidamente quel luoco convicin del colle va baguando di Flora i semplicetti fiori, con varie agne che a beverar quell' acque limpide stanno egli scherza. Al lato destro tiene una cetra indorata. Che aria di semplicità e di distrazione. L'altro, da lui non lungi, con li capelli biondi, appoggiando va sulle tenere erbette il suo capo, e con aria serena scherza anch'esso con due api, che stanno succhiando due fiori vicini a lui. Di là del rio dal centro dell' ameno boschetto due bellissime fanciulle solitarie, vanno di quando in quando volgendo i loro sguardi in quel olmo ove stanno i due pastori.. Anch' io mi muovo, e verso di quelle par che una impulsione ignuota mi guida. Dietro a certi abeti lieto discendo. Vicino a loro son'io esse non mi scorgono: quanto son vezzose! della terra, no: ma del cielo, dive son quelle. Una delle due, par che voglia ponere i suoi candidi piedi nel onde placidetto del rio: che bellezza è mai! l'altra la ritiene che consolazione per me in quest' istante è mai! con un volto amoroso quella che entrar nell' acqua per passar di là volea, e avvicinarsi a quei pastori, con la sua compagna di quelli parlar commincia. Ambi hanno il suo nome scol pito in seno. Una si chiama Erinnia, e l' altra Egeria. Egeria ora commincia a parlare con Erinnia in versi, ma ci vuole un poco di musica. EGERIA. ERINNA. Erinnia non più: quel pastor sereno Troppo incaute, bell' Egeria, siam noi Le gesta, il nome, a tuo piacer saprai. Ora uno si avanza dalla parte opposta del fiume, e quello li conturba assai: dunque si lascia per or' la musica. Egeria parla ancora in versi ad Erinnia, ma con un viso turbato. Quanto mi dispiace! Bella Erinnia andiam, i soavi augei canori Dolce sentir :-e fra l'ombrose scene Laura goder de mattutini albori. Ora s' inoltrano di nuovo nel boschetto: quasi non le scorgo più: che deliziosi immagini.— ff Ora quello che li turbò, in abito di pastore anch' esso, suonando un'istrumento fatto di tartaruga, in un viale che pende verso il rio, ove li altri due pastori stanno, egli si avanza. Dietro di lui vi sono tre: fra questi uno che tiene una folta e smisurata barba. Egli tiene sull' dorso un globo ovale trasparente, con delle misteriose figure. Uno degli altri due tiene una cassetta di perle, tessute artifiziosamente insieme: Il terzo tiene due boccie fatte di scorza di conchiglia Arabica. Egli è una figura ridicola. Egli è gobbo. Quasi vicini all' olmo sono. Quel pastore che tiene la cetra sentendo quel' altro istru mento a suonare: suona anch'esso e canta. Il suo pastor compagno quasi in un estasi lo ascolta. Ora quelli che si avanzavano, fermi sono; e con grande attenzione quello della cetra ascoltano. Li due pastori che sono sotto l'olmo hanno anche loro il nome nel seno impresso. Quello che suona è Timi Dafni, poeta pastorale. Il secondo ha il nome di Melibeo, suo amico confidente. Quello che turbò le ninfe si chiama Cilonio: li altri tre si nascondono: non li posso scorgere il nome. Quello del globo mi pare un furbo: a misura che si approssimano all' olmo, Timi Dafni e Melibeo si turbano anch'essi. Quello della cetra ora suona di nuovo e canta;-volgendosi verso quelle ninfe che sono entrate nel boschetto |