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sorridendo, volgendosi di quando in quando verso Ernesto, si dirige a Cilonio cantando.)

Oh che belle scene a viaggiar con esso
Communque sia la sua opinion non cede
Vive contento: lusinga sè stesso

Se anche il nome di ciò che vuol non vede
E tanto in sè quel proprio amor impresso
Che in ogni medaglia un Gordiano ei crede

CILONIO. (s' avanza accanto ad Ernesto e dice)

ERNESTO.

CILONIO.

Cosa vi par, Signore; è questo un luoco proprio per trovare fra le vulnerarie la verga d'oro; il zampo del leone? sin ora non abbiamo trovato altro che del polipodio e della mercuriale; cose troppo cominune per due professori come noi.

No, non mi sbaglio: è sicuro un Gordiano: mà vedete, è tanto chiaro.

par

Cosa mi risponde non sò (a parte a Don Fastidio) mi l'affare imbrogliato: quel pastor non veggio. A quel altro più giovine va, domandagli dove ne ando: ma con scaltrezza.

DON FASTIDIO. (a Emilio)

Signor, sapete voi quello che noi cerchiamo dove sia andato?

EMILIO. (a parte)

Che ignorante! vuol che li dica, e che sappia ciò che loro vogliono, dove sia andato. (ora a Don Fastidio

un poco iritalo e con sprezzo) Hai da sapere che noi coltiviamo il genio delle belle arti: siamo antiquarj e non astrologi: m'intendi? (voltandoglisi il dorso) (Nel istante che Don Fastidio vuol dare la risposta a Cilonio, una furiosa belva scende dal bosco. Cilonio spaventato dice.) CILONIO.

EMILIO.

ERNESTO.

Numi, che belva: Don Fastidio, Don Fastidio, via! (e fugge.

Ah! presto presto! qual tigre feroce così si avanza! pria che giunga

Non temer: il Gordiano è in salvo.

(Così confusi fuggendo lasciano un sacco di medaglie sciolto, e varie medaglie disperse quà e là: e vanno nascondersi nessuno lo sà.)

DON FASTIDIO (fuggendo casca in un pantano di fango, e quasi sepolto dice tante cose che per causa del rumore della belva non se distingue bene: intanto ora si sente gridare)

Per quei antiquarj: a quello del Gordiano li venghi un taffano nell' orecchio: e a quel altro, gamba di struzzo; un falcon sull' naso. Che diavolo è questo: in luoco di far colazione, ho pranzato nel fango: che pasticcio agro dolce!

CILONIO. (torna cercando Don Fastidio)

Forse sarà fuggito altrove: si vada in traccia di Don Fastidio. (dopo un semplice giro lo sente alla voce che geme, e seguita) Povero Don Fastidio. Sorgi, sorgi, Don Fastidio.

DON FASTIDIO

CILONIO.

Sorgi, sorgi! un corno che t'agrampi l'occhio des

tro.

Via, via! lascia che la preda sia fatta, che ricompensato sarai: Don Fastidio seguimi.

DON FASTIDIO.

Son pronto.

(Ora s' inoltrano tutti e due verso l'istesso sentier di Egeria, da una picciola vetta la scorgono, e credendola Melibeo perchè ha molto della somiglianza, vanno ad incontrarla in un altro sentiero tutto opposto, da onde fuggire ei non puole. Egeria li vede, ma scorgendoli così umili che stanno cavando certi radici dalla terra a loro si avvicina.)

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Quel pastore in abito di cacciatore: presto presto! se non m'inganno, Melibeo è quello: si vada ad incontrarlo.

DON FASTIDIO.

Sì, sì.

EGERIA. (ora incontrandosi con Cilonio gli dice)

Il ciel ti salvi, buon stranier: come, in queste alpes

tre rive.

CILONIO.

i

Così c'insegna la filosofia: chi ama la virtù, la virtù li guida: così siam noi, che per il ben commun, secreti dell' erbe cerchiam: è vero Don Fastidio.

DON FASTIDIO. (dice forte)

EGERIA.

CILONIO

È vero, è vero: (ora piano) Per inventar delle false gazette, credo che il più scaltro sia lui.

Deb, che tante belle doti ti adornano; l'ardir perdona; se ribrezzo non ti fa: fra queste selve non vedesti un biondo pastor? e se quello non fu, almeno un altro che a lui somiglia: ah dimmi, se qualche notizia ne sai.

Il biondo di quà non lungi, in una rural capanna viddi: se vuoi, io stesso col mio fedel compagno ti guideremo al luoco desiato: dacchè ebbi i lumi della filosofia, altro non pensai che a sollevar li miei simili. Don Fastidio, che ne dici?

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Che felicità per me: dunque si vada: li tuoi passi

lieto ne seguo.

(Mentre s' inoltrano nella valletta, dalla cima della collinetta uno si avanza. Ora lo scorgo: egli ha l'arco, smania, non sò 'l perchè. Ora si asconde sotto una quercia: da quel che sento egli si chiama Adrasto. Egli è bene armato. Ora si avviciniamo: eccoci non lungi da lui una bella ninfa

insegue una cerva.

Adrasto la scorge, ma non la puole in

contrare in quel luoco, a motivo di certe boscaglie. Onde facendo mille moti per incontrarla, parla in versi così.)

ADRASTO.

Ah se non m' inganno una ninfa è quella
Diana non è: eppure l'arco tiene
Forse la cerva timidetta e snella
Inseguir vorrà: che ardir! Sola ei viene
Che sembiante di mattutina slella

Dal volto al seno par l' adorata Ergene
Palpitar mi sento: ah se fosse lei

Il più felice dei pastor sarei.

(Ora Ergene disperando di non poter più ritrovar la perduta cerva s' avvicina verso Adrasto, pero senza scorgerlo, lamentandosi così.)

ERGENE,

La smarrita cerva, ah quanto mi affanna
Povere mie cure: tutto perdei

Le traccie sue ogni speranza inganna
Stanca son io: qualche ristor vorrei
Se ombra non è, una rural capanna
Parmi veder: forse qualch' un de' miei
Ivi sarà ma se il sentier non sai

Infelice Ergene, dove ne andrai?

(Mentre essa prende il sentiero che guida verso quella capanna da lei scoperta, Adrasto si avanza, però senza vederla, per poi incontrarla: e mentre che lui si mette in cammino

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