Ma non osavo! Fui dal mio padre sottoposto in una certa maniera all'autorità del console nuovo. Questo divenuto poco dopo effettivamente sposo di Lucrezia Theresia, s'accorse della mia passione per Agnése, e giudicando egli che non convenisse alla mia età, (nel momento di cui si tratta non compiuti li dieci e sette anni,) di pensar a moglie, stimò bene di contrariarmi nelle mie visite, e perchè non bastòrono per frenari questi suoi impacci, venne alle minaccie; c giusto, perchè con le minaccie non facevo che ostinarmi di più, vuolse un poco far prova della violenza. Ne segui, è vero, un gran fracasso; ma non però di gran durata: e ci siamo tosto pacificati. Verso poi il fine dell'anno 1761, volendo egli, per guarirmi della mia passione, allontanarmi dall'oggetto amato; credè a proposito di consigliarmi ad una gita in Inghilterra con delle proposizioni d'interesse da fare al mio padre, le quali, avendo per iscopo di farmi ritornare in Cipro comodo piuttosto e padrone di me stesso, e per questo tanto più geniale al mio cuore, mi persuasi, e tosto me'n andai. Giunsi felicemente presso al mio padre in Londra, e nell' istante quasi il feci aggradire le proposizioni; che appuntino eseguite mi rimise in viaggio per Cipro, esultante, colla perspettiva d'una certa tal qual independenza, e risoluto sopra tutto di non soffrire ostacolo alle dolci propensioni del mio cuore. In Ottobre 1762 fui già di ritorno in Cipro, pieno di gioia e di congratulazioni. Che tempi felici! Trovai la Lucrezia Theresia avanzata già nella gravidanza, ed a lei accanto la n l'os mia bella Agnese; occupate tutte e due a provveder per pite fra pochi dì atteso alla luce. E di fatti venne, alli due Novembre venne: e Lucrezia Theresia così felicemente sgravata d'una figlia, tutti di casa ne esultavano di gioja. Diversi giorni passarono senza causa d' inquietudine alcuna. Il Console tranquilisato di questo prospero stato della sua amiglia, si fece lecito un dopo pranzo di prender per un momento il divertimento della caccia, ed io li fui di compagnia. Bastèrono le poche ore che furomo assenti, perchè al nostro ritorno avessimo a trovare la Lucrezia Theresia di già colla febbre in letto; non curando le ammonizioni del marito, si era permessa, giusto l'uso del paese, il solazzo del bagno; e di questo abusando, in pochi di morì: Quante afflizioni! Restava la figlia, alla quale, servendo io di padrigno, abbiamo dato nome Maria Theresia, e Agnese, per tenerezza per la nipote, si lasciava vincere il rincrescimento per la sorella. Cominciava già a scemarsi la tristezza dal suo volto, e si rendeva accessibile a sentimenti di consolazione. Quando tutto d' un tratto, una sera di Luglio 1763, essendomi portato coll' solito interesse a casa da lei, e chiedendo della sua salute, presenti il cognato e la madre, turbata la viddi, e schivandomi lo sguardo. Restai! Agnese, (questionai) come?-Voglio morire, mi disse. Ma Agnese, come, cosa è stato? E lei mi risponde con un tuono più fermo di prima, Voglio morire. Mi si gelò il sangue. Ma, Agnese, dimmi, cosa è stato? Non ho niente, ma voglio morire! Restai di sasso, ma il Console cognato, che ne sapeva l' arcano, anzi che la madre sua, non facevano altro che dire, Non abbadetela, è pazza: passerà, &c. Sì, passerà ! Il fatto si è, che in seguito à questo disordine, senza malattia, o altro che un cuor profondamente afflitto, sospirando amaramente, senza volermene dire un perchè, Agnese in pochi di morì. Non me ne persuasi: non è vero che sia morta! nemmeno, allor che la viddi coricata, tanto le rose le stavano suffuse in volto come in vita, questo è estasi, dicevo, non è la morte. Ma esclamavo in vano: in poche ore, barbaro costume! la poserò nella tomba: e con lei, il mondo tutto per me. Che desolazione! che mondo! che ragione! che rassegnazione! non volevo sentir di niente. Mi attristavo per amor della tristezza! Non trovavo solazzo che nell' eccesso del dolor. Volevo anch' io morire. Procuravano sì: Vatene, mi dicevano, da questo paese. Credevano che col variar di scena misi svagherebbe la mente; ed io, che portavo meco la scena indelibilmente scolpita nel cuore, dicevo, Sì; me n' anderò. Onde, al destino! proposerò San Giovan d'Acri; ed io, Sia: a San Giovan d' Acri! e in effetto verso Decembre dell' istesso anno, sopra una picciola barca, m' imbarcai, e in quattro giorni di viaggio giunsi in Acri. Portavo lettere commendatizie per il vecchio Daher el Omer, Sceik Arabo, e capo, per conquista, di quella città e di tutta la Palestina. Mi accolse con amore particolare, e mi assegnò per albergo un antico palazzo diroccato; ma che si farebbe a mio genio ristaurare. Ne presi possesso, e tanto più mi piaceva, quanto più, in quello stato di ruina, s'assomigliava allo stato oppresso del mio cuore, spoglio, e alieno d' ogni idea di conforto : anzi, mi servirono queste ruine di pascolo alla mia frenesia. Dovetti però, a considerazione degli altri, consentire al riparo inteso dell' edifizio; e mi convenne intanto che mi adattasi a un camerino molto angusto per tutta abitazione. Anzi di buon grado mi ci adattavo. Il cuor mi si sorrideva in mezzo alle angoscie? Non vedevo tenebre che nella morte di Agnese. Così meditando sempre, ma un dì, verso sera specialmente, mesto al solito, e ritirato, qual fui, nella picciola cella, che appena dava luoco a un letto e un tavolino al medemo accanto; ritirato però di giorno ancora, per causa di un temporale forte che sovrastava; e che poscia proruppe con folgori, e baleni, e grandini, e pioggie: seduto così sull' letto a contemplarne l'orrore, mi sentivo assalire da irresistibil sonno, ma talmente opprimendo, che, (propenso inoltre, qual sempre fui in seguito a quel funesto evento, ad ogni eclisse del mondo) compiacentemente mi ci abbandonai, e in un istante fui immerso in profondo sonno. Ecco che mi si presenta Agnese bramata! tale quale la vedevo in vita, in bianca veste, a pie del mio letto, chinando verso di me il suo corpo, e stendendo le braccia come se fosse per abbracciarmi. Con un guardo tanto dolce e affettuoso che di consolazione mi commovea al pianto. Dopo un momento considerarla, le dissi, con un tuono di sorpresa e d'incertezza, Agnese? E lei mi risponde. Sì, la tua Agnese! Ed io di nuovo, con anzietà, Ma sei contenta ove sei, felice? Risponde, Sì, contenta, sono in cielo! Ed io, dunque beata, più contenta che in terra? Risponde, Sì, beata, contenta più che in terra! ed io, Dunque son consolato! e Agnese risponde, Venni a consolarti: e con ciò, con un sguardo pieno di celesti dolcezze non volendo però! svanì. Ma consolato da vero a tal segno mi lasciò; talmente allegerito dal peso che mi oppresse, che felice mi risvegliai. E sempre mai presente, e sempre cara all' anima mi è rimasta impressa questa grata, e mille volte grata e adorata apparizione; come se compartito m'avesse un sentimento dell'eterna felicità. Onde questo n' è il racconto. Ora, con questo esempio facciamo. Andiamo in traccia di Agnese. Cesare però non mi correspondeva alle mie premure ! Non si fece niente per questo specifico oggetto. Gli venne poi alli 18 Aprile un furioso mal di dente, onde sentirsi costretto a cercar da me ristòro, per via del magnatismo. |